fumo passivo di cannabis

Fumo passivo di cannabis: che effetti ha?

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Sappiamo bene che fumare non ha certo effetti positivi sulla salute. Non è tanto il tabacco o la marijuana in sé, ma piuttosto il metodo di assunzione tramite combustione, che sappiamo essere particolarmente dannoso. Con la legalizzazione della cannabis, sempre più persone assumono abitualmente marijuana. Tuttavia, molti si chiedono se anche il fumo passivo di cannabis possa provocare effetti collaterali o addirittura comparire nei test antidroga.

Il cosiddetto “sballo da contatto” è oggetto di numerosi dibattiti. Dai pochi studi scientifici condotti finora emergono dati piuttosto rassicuranti, sebbene sia ancora presto per trarre conclusioni definitive. Vediamo quindi di comprendere meglio quali siano gli effetti del fumo passivo di cannabis e in che modo questo metodo di inalazione possa influire sulla salute dei non fumatori.

 

Quali sono gli effetti del fumo passivo di cannabis?

Per comprendere appieno le conseguenze fisiologiche del fumo passivo di cannabis, un gruppo di ricercatori della Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora ha condotto uno studio, mirato anche a valutare la positività dei soggetti ai test antidroga.

I soggetti sono stati posti all’interno di una grande scatola in plexiglass, dove sono state misurate le variazioni fisiche tra chi fumava e chi subiva passivamente il fumo. I risultati sono stati piuttosto inattesi: i fumatori passivi raramente hanno manifestato alterazioni significative. Tuttavia, si è osservata la cosiddetta fame chimica, sintomo comune tra i consumatori abituali di cannabis. Inoltre, è stata rilevata la positività ai test antidroga. Le facoltà cognitive sono rimaste pressoché invariate.

L’esposizione prolungata al fumo passivo può portare a:

  • maggiore rischio di cancro ai polmoni e altri tumori;
  • aumento del rischio cardiovascolare;
  • tosse persistente e aumento della produzione di muco;
  • rischio di sviluppare broncopneumopatia cronica ostruttiva;
  • asma.
  • sviluppo di allergia alla cannabis.

Il fumo passivo di cannabis può provocare “sballo”?

Come abbiamo accennato nell’introduzione, lo “sballo da contatto” è un argomento dibattuto, soggetto a diverse interpretazioni.

Quando si fuma cannabis, i polmoni assorbono il THC, o tetracannabidiolo, così come il CBD. Il fumo inalato passivamente contiene livelli di cannabinoidi notevolmente inferiori, poiché il fumatore diretto ne assorbe la maggior parte.

Tuttavia, c’è la possibilità che il fumatore passivo possa manifestare rossore agli occhi se si trova in un ambiente chiuso privo di ventilazione o con scarso ricircolo d’aria, per un periodo prolungato. Inoltre, il fumo si impregna facilmente nei vestiti, quindi il fumatore passivo può emanare facilmente odore di erba.

Fumo passivo di cannabis e test antidroga

È possibile risultare positivi a un test antidroga dopo aver inalato passivamente fumo di cannabis?

Per verificare se il 9-carbossi-THC fosse effettivamente rilevabile in soggetti esposti al fumo passivo, è stato condotto uno studio, pubblicato sul Journal of Analytical Toxicology. Questa ricerca ha coinvolto 6 consumatori abituali di marijuana, chiusi in una stanza per un’ora con altri partecipanti che, al contrario, non avevano assunto sostanze. Ai fumatori passivi di cannabis è stato chiesto di urinare in una provetta 13 volte nelle 34 ore successive all’esposizione passiva.

I risultati hanno mostrato che i livelli del metabolita di THC riscontrati nei fumatori passivi erano troppo bassi per generare risultati positivi ai test antidroga. Solo uno dei partecipanti ha mostrato un livello di 50 nanogrammi di THC per millilitro di sangue, limite stabilito dalla legge, ma solo dopo 4 o 6 ore dall’esposizione al fumo passivo. I ricercatori, quindi, hanno concluso che questi risultati sono il risultato di un’estrema esposizione alla cannabis, che può determinare risultati positivi ai test antidroga, ma si tratta di eventi rari e limitati alle poche ore successive all’esposizione.

È quindi possibile superare il test del THC? È cruciale prestare molta attenzione ed essere responsabili. Meglio evitare qualsiasi forma di contatto con la cannabis e i suoi derivati se ci sono imminenti test antidroga.

Conclusioni

Indipendentemente da tutto ciò, va sottolineato che il fumo, attivo o passivo, danneggia la salute. Attualmente esistono numerosi modi per consumare cannabis e i suoi derivati. Uno dei più diffusi è certamente la vaporizzazione.

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FAQ

Chi prescrive la cannabis per uso terapeutico può variare da paese a paese e da stato a stato, a seconda delle leggi e delle regolamentazioni locali. Tuttavia, in molti paesi, sono generalmente i medici o i professionisti della salute qualificati a poter prescrivere la cannabis per uso terapeutico. Questi possono includere:

  1. Medici specializzati: di medicina generale, neurologi, oncologi o altri specialisti in ambito medico che hanno la competenza e l’autorità per prescrivere la cannabis medica;
  2. Medici autorizzati: in alcuni paesi, solo medici autorizzati o specificamente addestrati nell’uso della cannabis terapeutica possono prescriverla;
  3. Cliniche specializzate: in alcuni casi, le cliniche specializzate possono essere autorizzate a prescrivere cannabis;
  4. Autorità sanitarie: in alcuni paesi, le autorità sanitarie locali possono avere un ruolo nel processo di prescrizione e regolamentazione della cannabis per uso terapeutico.

In ogni caso, la prescrizione di cannabis per uso terapeutico di solito segue una valutazione approfondita da parte del medico, che considera la condizione medica del paziente, i potenziali benefici e gli effetti collaterali, nonché le leggi e le regolamentazioni locali.

Secondo gli studi, il CBD agisce sul cervello influenzando diversi processi neurologici e biochimici:

  1. Regolazione del sistema endocannabinoide: il CBD interagisce con il sistema endocannabinoide del cervello, che è coinvolto nella regolazione di varie funzioni fisiologiche, tra cui umore, sonno, appetito e percezione del dolore;
  2. Riduzione dell’infiammazione: il CBD ha proprietà anti-infiammatorie che possono ridurre l’infiammazione nel cervello, contribuendo a proteggere le cellule cerebrali dai danni causati da processi infiammatori;
  3. Modulazione della neurotrasmissione: il CBD può influenzare la trasmissione dei neurotrasmettitori nel cervello, come il glutammato e la serotonina, che sono coinvolti nella regolazione dell’umore, del sonno e del dolore;
  4. Neuroprotezione: il CBD può avere effetti neuroprotettivi, contribuendo a proteggere le cellule cerebrali dall’infiammazione, dallo stress ossidativo e da altre forme di danneggiamento;
  5. Regolazione dell’ansia e dello stress: il CBD può influenzare i recettori cerebrali coinvolti nella regolazione dell’ansia e dello stress, fornendo un effetto calmante e ansiolitico;
  6. Potenziale terapeutico per disturbi neurologici: ci sono prove che il CBD possa essere utile nel trattamento di vari disturbi neurologici, come l’epilessia, il morbo di Parkinson e la sclerosi multipla, sebbene la ricerca sia ancora in corso per determinare appieno i suoi meccanismi d’azione e l’efficacia per tali condizioni.

Il CBD può non essere adatto in certe situazioni e per alcune persone, come evidenziato in alcuni studi:

  1. Interazioni farmacologiche: il CBD può interagire con diversi farmaci. Chi assume anticoagulanti, antidepressivi, o farmaci cardiaci dovrebbe consultare un medico prima dell’uso;
  2. Donne incinte o che allattano: la sicurezza del CBD in gravidanza e durante l’allattamento non è ben stabilita. Pertanto, è consigliato evitare il suo uso in questi casi;
  3. Condizioni di salute specifiche: persone con malattie epatiche o gravi disturbi mentali dovrebbero consultare un professionista sanitario prima di usare il CBD;
  4. Uso nei bambini: l’uso del CBD nei bambini va considerato con estrema cautela e sotto supervisione medica;
  5. Allergie o sensibilità: chi ha allergie o sensibilità agli ingredienti del CBD o ai prodotti a base di cannabis dovrebbe evitarne l’uso.

E’ sempre bene consultare un medico prima di iniziare il trattamento, specialmente in presenza di condizioni mediche particolari o incertezze.

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