cannabinoidi della canapa

Cannabinoidi della canapa: le ultime scoperte

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Negli ultimi anni le ricerche sulla canapa sono cresciute in maniera esponenziale. Questo grazie all’aiuto di team di studiosi, incuriositi dalle molteplici proprietà benefiche già riconosciute alla pianta. I ricercatori si sono focalizzati in particolar modo sui cannabinoidi della canapa, ossia gli elementi chimici contenuti nella pianta di cannabis. Questi cannabinoidi, che ammontano a più di un centinaio, interagiscono in modi differenti con il cervello umano.

Ma se ormai tutti noi conosciamo i principali composti della cannabis, cioè CBD, THC, CBN, CBG, le ultime ricerche hanno portato alla luce nuovi cannabinoidi che vale la pena conoscere. Se sei curioso di scoprire di quali nuovi elementi stiamo parlando, continua a leggere!

Cosa sono i cannabinoidi della canapa

THCP e CBDP, due nuove promesse

All’inizio del 2020, un team di scienziati italiani ha scoperto due nuovi cannabinoidi, dando un importante impulso alla ricerca sui composti attivi della cannabis: il THCP e il CBDP.

I fitocannabinoidi rilevati nella pianta di cannabis sono quasi 150, tuttavia la maggior parte di essi non è stata ancora isolata. Solo recentemente gli scienziati hanno iniziato a comprendere come la pianta esercita i suoi effetti medici e psicoattivi. E’ proprio questa nuova ricerca che ha portato alla scoperta di piccole quantità di cannabinoidi contenute nei fiori di cannabis. Questi elementi sono stati chiamati tetraidrocannabiforolo e cannabidiforolo (THCP e CBDP).

Essi appaiono chimicamente simili rispettivamente ai più famosi THC e CBD e potrebbero svolgere un ruolo nel mix di cannabinoidi, terpeni e flavonoidi che determinano l’effetto entourage di una specifica varietà di cannabis.

THCP, 30 volte più potente

Il THCP ha la stessa struttura chimica del THC, ma con una catena laterale alchilica a sette termini. Questa catena crea un legame più forte con i recettori CB1 dei mammiferi. I test farmacologici sugli animali, infatti, hanno constatato che il THCP è almeno 30 volte più potente del fratello THC. Ciò significa che questo nuovo elemento potrebbe determinare un effetto psicoattivo e medico significativamente più intenso.

Grazie ad un test di laboratorio, i ricercatori hanno scoperto che il THCP induce ipomotilità, analgesia, catalessia e diminuzione della temperatura rettale. Inoltre, essi hanno sottolineato che sui ratti eserciterebbe un effetto simile al THC.

Tuttavia gli studi non sono ancora sufficienti per determinare cosa potrebbe significare per l’uomo. Così come non è ad oggi noto se ceppi diversi contengano diverse quantità di THCP.

CBDP, l’elemento enigmatico

Anche il CBDP, come il THCP, possiede una “coda” più lunga rispetto al fratello CBD. Quest’ultimo presenta una scarsa affinità di legame con i recettori CB, e la coda lunga del CBDP non sembra aumentare questa affinità.

Per questo motivo gli studiosi non hanno ancora eseguito test biologici sul CBDP, lasciando alla ricerca futura il compito di scoprire se questa caratteristica possa essere in grado di migliorare l’affinità di legame con altri recettori o di svolgere un ruolo significativo nell’effetto entourage.

Cosa potrebbe cambiare in ambito medico?

Gli studi effettuati hanno dimostrato che la lunghezza della catena laterale gioca un ruolo fondamentale nell’affinità di legame tra cannabinoidi e sistema endocannabinoide. Di conseguenza, è ragionevole pensare che cannabinoidi come il THCP, rispetto ad altri cannabinoidi meno conosciuti, possano risultare addirittura più efficaci dal punto di vista medico.

THCP e CBDP sono considerati particolarmente interessanti in quanto sono i primi cannabinoidi scoperti con “code” più lunghe di cinque segmenti. Inoltre, ulteriori ricerche potrebbero confermare che THCP e CBDP svolgono un ruolo nella risposta soggettiva alla cannabis.

I risultati di questa nuova ricerca sottolineano quanto sia importante effettuare una profilazione chimica completa dei ceppi di cannabis terapeutica, oltre a ricerche sull’attività farmacologica di tutti i cannabinoidi ancora sconosciuti.

THCH e CBDH, la nuova scoperta italiana

Un gruppo di ricercatori italiani ha scoperto una nuova classe di cannabinoidi. Giuseppe Cannazza, ricercatore presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia e Livio Luongo, professore associato presso l’Università Luigi Vanvitelli di Napoli, dopo aver isolato il THCP e il CBDP, hanno portato alla luce un’ulteriore scoperta: il THCH e il CBDH.

Gli studiosi, cercando di trovare gli omologhi dei cannabinoidi della canapa più conosciuti (THC e CBD) ne hanno scoperti altri due, il Cannabidiexolo (CBDH) e il Tetraidrocannabiexolo (THCH). Il professor Luongo ha sottolineato che questi nuovi elementi hanno evidenziato il fatto che alzando la concentrazione aumenta l’effetto analgesico. Ora non resta che indagare in maniera più approfondita, sperimentando questi cannabinoidi della canapa in problematiche importanti, come il dolore cronico e neuropatico, l’isolamento sociale, o patologie come quelle del tratto gastro-intestinale e disturbi del sonno.

I limiti della ricerca italiana sui cannabinoidi della canapa

Il problema è che in Italia la ricerca libera, quindi finanziata a livello statale, è molto più mirata al lato pratico e applicativo. Come sottolineato da Luongo, i fondi dovrebbero essere pubblici, non privati. I ricercatori in questo modo sono liberi di fare ricerca di base che non ha necessariamente un ritorno economico immediato. Il professore, inoltre, evidenza l’importanza di condividere e pubblicare subito una scoperta, cosa che sarebbe utile per far progredire la scienza a livello globale.

Questa ricerca è stata subito resa pubblica in quanto è stata effettuata grazie a fondi pubblici per dare la possibilità di aprire nuove porte per poter studiare i composti innovativi.

Giuseppe Cannazza è stato chiaro: “La grande sfida è la correlazione tra la composizione chimica e la farmacologia: sarebbe uno studio fondamentale da svolgere in associazione con i farmacologi”.

Pertanto, ci auguriamo che questo possa avvenire quanto prima, perché la ricerca è il futuro, sempre.

 

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