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CBD: per la Corte di Giustizia europea non è stupefacente

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Importante sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, resa nota ieri: “Uno Stato membro non può vietare la commercializzazione del cannabidiolo (CBD) legalmente prodotto in un altro Stato membro quando è estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza e non esclusivamente dalle sue fibre e semi.”

Tale divieto può tuttavia essere giustificato dall’obiettivo di tutelare la salute pubblica  ma non deve andare al di là di quanto necessario per il suo conseguimento.In particolare per la Corte Il CBD non sembra avere alcun effetto psicotropo né provocare alcun danno effettivo alla salute. Pertanto non può essere ricondotto alle sostanze stupefacenti, oggetto di controllo da parte delle Convenzioni internazionali del 1961 e 1971.

Tutto nasce dall’importazione del CBD in Francia

B. S. e C. A. sono gli ex amministratori di un’azienda che commercializzava e distribuiva cartucce per sigaretta elettronica a base di olio di cannabidiolo (CBD).

Il CBD era stato prodotto  da piante di canapa coltivate legalmente nella Repubblica Ceca. Inoltre,  proveniva dalla totalità della pianta, foglie e fiori inclusi. Successivamente è stato importato in Francia per essere confezionato in cartucce per sigarette elettroniche.

Un procedimento penale è stato avviato contro B. S. e C. A., poiché, in base alla legislazione francese, solo la fibra e i semi di canapa possono essere destinati all’uso commerciale. Condannati dal Tribunale di Marsiglia a pene detentive sospese di 18 e 15 mesi, con sanzioni pecuniarie di 10.000 €, hanno presentato ricorso dinanzi alla Corte d’Appello di Aix-en-Provence.

La sentenza della Corte di Giustizia

Nella sentenza del 19 novembre, la Corte rileva che il diritto dell’Unione è contrario a una normativa nazionale come quella oggetto della controversia.

In primo luogo, la Corte si pronuncia sulla legge applicabile alla situazione in oggetto. A tal riguardo, tralascia i regolamenti relativi alla politica agricola comune (PAC). Tale diritto derivato si applica solo ai «prodotti agricoli» elencati nell’allegato I dei Trattati. Il CBD, estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza, non può essere considerato un prodotto agricolo, a differenza, ad esempio, della canapa grezza. Non rientra pertanto nell’ambito di applicazione di tali regolamenti.

D’altro canto, la Corte osserva che le disposizioni sulla libera circolazione delle merci all’interno dell’Unione europea sono applicabili, in quanto il CBD non può essere considerata una “droga narcotica”.

(articoli 34 e 36 TFUE)

La Corte ricorda che le persone che commercializzano stupefacenti non possono fare affidamento sulle libertà di circolazione poiché tale commercializzazione è vietata in tutti gli Stati membri. E’ fatta eccezione per il commercio strettamente controllato per fini medici e scientifici.

La Corte rileva che, per definire i termini “droga” o “stupefacente”, il diritto dell’UE fa riferimento a due convenzioni delle Nazioni Unite: la Convenzione sulle sostanze psicotrope e la Convenzione unica sugli stupefacenti.

Il CBD, tuttavia, non è menzionato nella prima e, mentre è vero che un’interpretazione letterale di quella del 1971 potrebbe portare alla sua classificazione come droga in quanto si tratta di un estratto di cannabis, una tale interpretazione sarebbe contraria allo spirito generale di tale convenzione e al suo obiettivo di proteggere “la salute e il benessere dell’umanità“.

La Corte rileva che, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, a differenza del THC, il CBD non sembra avere alcun effetto psicotropo né pare provocare alcun danno effettivo alla salute umana.

I due punti fermi della Corte

La Corte rileva che le disposizioni sulla libera circolazione delle merci ostano a una normativa come quella oggetto di controversia. Il divieto di commercializzazione del CBD costituisce una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative all’importazione, vietata dall’articolo 34 TFUE.

La Corte sottolinea che tale normativa può essere giustificata su uno dei motivi di interesse pubblico previsti dall’articolo 36 TFUE, come l’obiettivo di tutela della salute pubblica invocato dalla Repubblica francese. Questo a condizione che tale normativa sia idonea a garantire il raggiungimento di tale obiettivo e non vada al di là di quanto necessario per il raggiungimento esso.

Sebbene quest’ultima valutazione spetti al giudice nazionale, la Corte fornisce due spunti al riguardo. In primo luogo, sembrerebbe che il divieto di commercializzazione non influisca sul CBD sintetico. Esso, infatti, avrebbe le stesse proprietà del CBD e potrebbe essere utilizzato come sostituto di quest’ultimo.

Se tale circostanza fosse dimostrata, significherebbe che la normativa francese non era idonea a conseguire, in modo coerente e sintetico, l’obiettivo di tutela della salute pubblica.

In secondo luogo, la Corte riconosce che la Repubblica francese non è effettivamente tenuta a dimostrare che la proprietà pericolosa della CBD sia identica a quella di alcuni stupefacenti.

Tuttavia, il giudice nazionale deve valutare i dati scientifici disponibili. Questo al fine di assicurarsi che il presunto rischio per la salute pubblica non appaia fondato su considerazioni puramente ipotetiche.

La decisione di vietare la commercializzazione del CBD, può essere adottata solo se tale rischio appare sufficientemente accertato.

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