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cannabis antinfiammatorio

Infiammazione: usare i cannabinoidi come antinfiammatori

L’infiammazione è un meccanismo di difesa fondamentale del sistema immunitario che aiuta il corpo a riparare i tessuti danneggiati e a proteggersi da agenti esterni nocivi, come virus e batteri. Questa reazione è vitale per la guarigione, poiché senza di essa le ferite potrebbero peggiorare e le infezioni diventare fatali. Tuttavia, un’infiammazione protratta o inappropriata può causare problemi. L’infiammazione cronica, per esempio, è associata a varie patologie gravi, inclusi disturbi cardiaci e autoimmuni come l’artrite reumatoide e il lupus. Adottare uno stile di vita salutare e seguire una dieta equilibrata sono strategie efficaci per gestire e controllare l’infiammazione. Grazie alle sue proprietà, la cannabis come antinfiammatorio potrebbe rappresentare una valida alternativa per diverse malattie curabili con cannabinoidi, come l’artrite reumatoide, il dolore cronico e alcune forme di infiammazione intestinale.

Infiammazione acuta

L’infiammazione acuta si manifesta come una reazione immediata del corpo a lesioni fisiche, come un taglio sulla pelle, una distorsione alla caviglia o un mal di gola. Questo tipo di infiammazione è temporaneo e ha effetti limitati all’area specifica interessata. I segnali comuni di infiammazione acuta includono rossore, gonfiore, calore e, occasionalmente, dolore o riduzione della funzionalità, come evidenziato dalla National Library of Medicine.

Durante un episodio di infiammazione acuta, il dottor Scott Walker, medico presso il Gunnison Valley Hospital in Utah, spiega che i vasi sanguigni nell’area danneggiata si espandono, permettendo un aumento del flusso sanguigno. Questo intensifica l’afflusso di globuli bianchi, che sono essenziali per il processo di guarigione, rendendo l’area colpita rossa e gonfia.

Contemporaneamente, le citochine, che sono sostanze chimiche rilasciate dal tessuto lesionato, agiscono come segnali d’allarme che richiamano altre cellule immunitarie, ormoni e nutrienti necessari per affrontare e risolvere l’infiammazione. In aggiunta, le prostaglandine, simili agli ormoni, contribuiscono alla formazione di coaguli di sangue per riparare i tessuti danneggiati e possono indurre dolore e febbre, facendo parte integrante del processo di guarigione. Questo processo infiammatorio diminuisce man mano che il corpo procede nella guarigione del tessuto lesionato.

Infiammazione cronica

A differenza dell’infiammazione acuta, l’infiammazione cronica può avere effetti prolungati e diffusi su tutto il corpo. Questo tipo di infiammazione, spesso descritto come persistente e di basso grado, si manifesta con un leggero ma costante aumento dei marcatori del sistema immunitario presenti nel sangue o nei tessuti, indicando una continua attivazione immunitaria.

L’infiammazione cronica è nota per il suo contributo allo sviluppo di varie malattie. Può essere innescata da una minaccia interna che il corpo percepisce, anche in assenza di una vera malattia o ferita da guarire, portando il sistema immunitario a reagire in modo eccessivo. Secondo il dottor Scott Walker, in questi casi i globuli bianchi si accumulano senza un obiettivo chiaro, il che può portarli a danneggiare organi interni e altri tessuti sani.

Gli studiosi continuano a investigare le ramificazioni e i meccanismi dell’infiammazione cronica, riconoscendola come un fattore significativo nel processo di sviluppo di numerose patologie.

Sintomi infiammazione

I sintomi di un’infiammazione variano in base alla severità e alla localizzazione, tuttavia i più comuni includono:

  1. Rossore: la zona infiammata spesso appare rossa a causa dell’aumento del flusso sanguigno;
  2. Calore: la temperatura della zona colpita può aumentare, diventando più calda al tatto;
  3. Gonfiore: l’accumulo di liquidi nell’area infiammata può causare un evidente rigonfiamento;
  4. Dolore: l’infiammazione può provocare dolore, che può essere costante o peggiorare con il movimento o al tatto;
  5. Perdita di funzione: in alcuni casi, l’infiammazione può limitare la mobilità o la funzionalità dell’area colpita.

Questi sintomi sono tipici dell’infiammazione acuta. In caso di infiammazione cronica, invece, i sintomi possono essere meno evidenti e includono affaticamento, febbre lieve, dolori diffusi, e problemi digestivi, tra gli altri.

Talvolta le infiammazioni sono sintomo di una più grave malattia o condizione (spesso legata all’intestino). Tra queste troviamo:

  • Allergie alimentari e/o ambientali
  • Problemi digestivi
  • Disturbi di immunodeficienza
  • Tossine ambientali (come metalli pesanti)
  • Squilibrio ormonale
  • Obesità
  • Alimentazione scorretta (cibi trattati, zuccherini e precotti)
  • Mancanza di sonno
  • Stress emotivo e fisico

Infiammazione cronica VS malattie cardiache e ictus

Secondo una teoria supportata dall’American Heart Association (AHA), la presenza prolungata di cellule infiammatorie nei vasi sanguigni può favorire la formazione di placche. Queste placche sono viste dal corpo come corpi estranei, pertanto esso tenta di isolarle dal flusso sanguigno nelle arterie. Se queste placche si destabilizzano e si rompono, possono generare un coagulo che interrompe il flusso sanguigno verso il cuore o il cervello, causando così un attacco cardiaco o un ictus.

Anche il cancro è associato all’infiammazione cronica. Nel tempo, infatti, l’infiammazione cronica può danneggiare il DNA e contribuire allo sviluppo di alcune forme di cancro, come indicato dal National Cancer Institute.

Sebbene l’infiammazione cronica di basso grado possa non manifestare sintomi evidenti, è possibile rilevarla tramite test specifici per la proteina C-reattiva (CRP), un indicatore di infiammazione nel sangue. Livelli elevati di CRP sono spesso associati ad un rischio maggiore di malattie cardiache e possono indicare anche la presenza di infezioni o malattie infiammatorie croniche come l’artrite reumatoide o il lupus, come suggerisce la Mayo Clinic.

 

Cannabis come antinfiammatorio: cannabinoidi e sistema endocannabinoide

I cannabinoidi interagiscono con il sistema endocannabinoide del corpo, un complesso sistema di segnalazione coinvolto nella regolazione di diverse funzioni, inclusa la risposta infiammatoria. I due cannabinoidi più studiati sono il tetraidrocannabinolo (THC) e il cannabidiolo (CBD). Mentre il THC è noto principalmente per i suoi effetti psicoattivi, il CBD è stato oggetto di studio per i suoi effetti benefici sulla salute, in particolare per le sue proprietà antinfiammatorie senza gli effetti inebrianti.

Proprietà antinfiammatorie dei cannabinoidi

Studi recenti hanno dimostrato che il CBD può ridurre l’infiammazione agendo su diversi meccanismi biologici:

  1. Inibizione delle citochine proinfiammatorie: il CBD può sopprimere la produzione di molecole proinfiammatorie nel corpo, riducendo l’infiammazione a livello cellulare;
  2. Modulazione dei recettori immunitari: interagendo con i recettori CB2 del sistema endocannabinoide, presenti principalmente sulle cellule immunitarie, il CBD può aiutare a modulare la risposta immunitaria e prevenire risposte infiammatorie eccessive;
  3. Riduzione dello stress ossidativo: il CBD possiede anche proprietà antiossidanti, che aiutano a ridurre i danni causati dai radicali liberi, un fattore noto per contribuire all’infiammazione.

Uno studio pubblicato nel 2006 dall’European Journal of Pharmacology, ha cercato di determinare l’effetto del cannabidiolo come trattamento per il dolore cronico infiammatorio e neuropatico nei topi di laboratorio. Dopo aver indotto dolore nei soggetti, infatti, sono state somministrate delle dosi di CBD per via orale per una settimana. Al termine dello studio essi hanno evidenziato una riduzione significativa del dolore e dell’infiammazione. Gli esperti hanno concluso che il CBD può direttamente influire sui recettori cannabinoidi nel cervello (CB1 e CB2), che aiutano a controllare il dolore.

Un altro studio condotto presso il Centro medico dell’Università del Missisipi e pubblicato nel Free Radical Biology & Medicine Journal ha mostrato che il cannabidiolo può essere utile nel ridurre l’impatto dell’infiammazione sullo stress ossidativo, concomitante di varie condizioni come ad esempio: diabete di tipo 1 e 2, ipertensione, artrite reumatoide, aterosclerosi, depressione, alzheimer.

Cannabis antinfiammatoria: cosa dice la scienza

Una ricerca condotta nel 2009 e pubblicata sul giornale medico “Future Med Chem” dai dottori Prakash Nagarkatti, Rupal Pandey, Sadiye Amcaoglu Rieder, Venkatesh L Hegde, and Mitzi Nagarkatti, ha studiato proprio l’uso della cannabis come antinfiammatorio.

La scoperta del Δ9-tetraidrocannabinolo (THC) come il principale principio psicoattivo della marijuana, così come l’identificazione dei recettori dei cannabinoidi e dei loro ligandi endogeni, ha portato ad una crescita significativa della ricerca volta a comprendere le funzioni fisiologiche dei cannabinoidi.

I recettori dei cannabinoidi includono il CB1, che è espresso prevalentemente nel cervello, e il CB2, che si trova principalmente sulle cellule del sistema immunitario. Il fatto che entrambi i recettori CB1 e CB2 siano stati trovati sulle cellule immunitarie suggerisce che i cannabinoidi giocano un ruolo importante nella regolazione del sistema immunitario.

Studi recenti hanno dimostrato che la somministrazione di THC nei topi ha innescato una marcata apoptosi nelle cellule T e nelle cellule dendritiche, con conseguente immunosoppressione. Inoltre, diversi studi hanno dimostrato che i cannabinoidi regolano la produzione di citochine e chemochine e, in alcuni modelli, regolano le cellule T-regolatorie (Tregs) per sopprimere le risposte infiammatorie.

Il sistema endocannabinoide è anche coinvolto nell’immunoregolazione. Per esempio, la somministrazione di endocannabinoidi o l’uso di inibitori degli enzimi che scompongono gli endocannabinoidi, ha portato all’immunosoppressione e al recupero da lesioni immunomediate a organi come il fegato. La manipolazione degli endocannabinoidi e/o l’uso di cannabinoidi esogeni in vivo può costituire una potente modalità di trattamento contro i disturbi infiammatori.

Cannabis come antinfiammatorio: lo studio sugli steli

La pianta di cannabis è probabilmente tra le più versatili sulla Terra. Gli uomini nel corso della storia l’hanno usata per innumerevoli scopi, inclusi quelli medici, religiosi e anche ricreativi.
Le piante di cannabis sono composte da molti cannabinoidi, come i più famosi tetraidrocannabinolo (THC) e cannabidiolo (CBD). Questi sono da anni oggetto di studi, in particolare quelli incentrati sulla capacità della pianta di combattere l’infiammazione. Infatti, grazie alle sue proprietà, il CBD è sempre più utilizzato anche come potente antinfiammatorio naturale per intestino. Per quanto riguarda gli steli della pianta, non sono mai stati al centro dell’attenzione degli esperti.

Ma alcuni studiosi della Corea del Sud hanno deciso di indagare anche sugli effetti delle parti più sottovalutate della cannabis in un recente studio. Un team di ricercatori del Gyeongbuk Institute for Bio-industry, del Biomaterials Research Institute e della Andong National University in Corea del Sud, ha esaminato semi sgusciati, radici e steli di piante di cannabis. Gli esperti hanno esaminato sostanze fitochimiche non cannabinoidi in quelle parti della pianta di cannabis per vedere se possedessero proprietà antinfiammatorie.

Cannabis come antinfiammatorio: come utilizzarla?

Per utilizzare la cannabis come antinfiammatorio, è importante seguire alcuni passaggi chiave e considerare vari fattori. Ecco alcune linee guida generali:

  1. Scegliere la forma giusta: il CBD è disponibile in diverse forme, tra cui olio CBD, capsule, edibili, creme e lozioni. La scelta della forma dipende dalle preferenze personali e dall’area di applicazione. Per esempio, le creme possono essere utili per l’infiammazione localizzata come l’artrite nelle mani, mentre l’olio o le capsule possono essere più adatte per l’infiammazione sistemica;
  2. Determinare la dosaggio: non esiste un dosaggio universale di CBD per l’infiammazione poiché dipende da molti fattori, come il peso corporeo, la gravità dell’infiammazione e la tolleranza individuale. È consigliabile iniziare con una dose bassa e aumentarla gradualmente fino a trovare la quantità che offre il massimo beneficio senza effetti collaterali indesiderati;
  3. Frequenza di somministrazione: il CBD può essere assunto una o più volte al giorno. Monitorare gli effetti e regolare la frequenza di assunzione in base ai risultati ottenuti e alle necessità personali;
  4. Consultare un medico: prima di iniziare ad usare la cannabis come antinfiammatorio, è importante consultare un medico, soprattutto se si stanno assumendo altri farmaci. Il medico, infatti, fornirà consigli su come integrare il CBD nel regime terapeutico e monitorare gli effetti sulla salute;
  5. Attenzione alla qualità del prodotto: scegliere prodotti di CBD da fonti affidabili che forniscano certificati di analisi da laboratori indipendenti. Questi certificati garantiscono che il prodotto contenga la quantità di CBD dichiarata e sia privo di contaminanti;
  6. Valutare gli effetti: tenere traccia di come il corpo reagisce al CBD può aiutare a determinare l’efficacia del trattamento. Prendere nota dei livelli di infiammazione e di altri sintomi può essere utile per valutare se il CBD sta funzionando come desiderato.

In conclusione

Anche se gli studi attuali suggeriscono che i cannabinoidi sono agenti terapeutici utili nel trattamento di vari disturbi infiammatori, è necessaria un’ulteriore valutazione dei meccanismi che spiegano le loro proprietà antinfiammatorie.

Tali studi possono comportare l’uso di topi privi del recettore dei cannabinoidi e l’uso di composti specifici per il recettore.

Mentre la maggior parte degli studi si è concentrata in passato sull’effetto dei cannabinoidi sulle citochine, l’apoptosi e le funzioni delle cellule Th1, ulteriori indagini sul loro effetto sulle cellule Th17, le DC, le cellule NK, le cellule B e le cellule T regolatrici Fox-P3+ sono fondamentali, poiché tali cellule giocano un ruolo importante nella regolazione e mediazione della risposta infiammatoria o autoimmune della malattia.

Nel complesso, i cannabinoidi hanno mostrato un potenziale significativo per essere usati come nuovi agenti antinfiammatori.

Gli studi condotti finora indicano che la principale funzione farmacologica del sistema endocannabinoide è nella neuromodulazione: controllo delle funzioni motorie, della cognizione, delle risposte emotive, dell’omeostasi e della motivazione.

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Fonti : Earl Mindell – Olio di Canapa /”Cannabinoids as novel Anti-Inflammatory drugs” PMC 

DOMANDE FREQUENTI

Cosa si può curare con la cannabis?

Ecco alcune delle condizioni per le quali la cannabis potrebbe essere utilizzata:

  1. Dolore cronico: la cannabis può essere efficace nel trattamento del dolore cronico, compreso quello causato da patologie come l’artrite, la fibromialgia e il dolore neuropatico;
  2. Disturbi del sonno: alcuni pazienti riportano miglioramenti nella qualità del sonno;
  3. Nausea e vomito: il THC è stato utilizzato con successo nel trattamento della nausea e del vomito, soprattutto in pazienti che ricevono chemioterapia o terapia antiretrovirale;
  4. Disturbi d’ansia e stress: alcuni studi suggeriscono che alcune varietà di cannabis possono avere effetti ansiolitici e calmanti;
  5. Disturbi dell’umore: la cannabis può essere utilizzata nel trattamento di disturbi dell’umore come la depressione e il disturbo bipolare;
  6. Spasmi muscolari: la cannabis può essere utile nel ridurre i sintomi di spasmi muscolari associati a condizioni come la sclerosi multipla o la lesione del midollo spinale;
  7. Convulsioni: il CBD è stato oggetto di numerosi studi per il trattamento delle convulsioni, in particolare nei pazienti affetti da sindrome di Dravet e sindrome di Lennox-Gastaut.

È importante sottolineare che gli effetti terapeutici della cannabis possono variare da persona a persona e che è necessario un monitoraggio medico adeguato durante il trattamento.

Chi ha diritto alla cannabis terapeutica?

Le leggi e le regolamentazioni per la cannabis terapeutica variano da paese a paese e possono anche differire a livello regionale o nazionale. In generale, hanno diritto alla cannabis terapeutica:

  1. Pazienti con condizioni mediche specifiche: queste possono includere disturbi neurologici come l’epilessia, la sclerosi multipla o il morbo di Parkinson, condizioni dolorose come l’artrite reumatoide o la fibromialgia, disturbi dell’umore come la depressione o il disturbo d’ansia, e molti altri;
  2. Pazienti che non hanno risposto ad altre terapie: potrebbe essere presa in considerazione per pazienti che non hanno ottenuto risultati con trattamenti convenzionali o che non tollerano gli effetti collaterali dei farmaci tradizionali;
  3. Pazienti che soddisfano i criteri di idoneità: oltre alle condizioni mediche specifiche, potrebbero esserci altri criteri di idoneità stabiliti dalle autorità sanitarie o dalle leggi locali che un paziente deve soddisfare per avere accesso alla cannabis terapeutica.

È importante consultare un medico o un professionista sanitario qualificato per valutare se la cannabis terapeutica sia un’opzione appropriata per la propria condizione medica e per comprendere le leggi e le regolamentazioni locali riguardanti l’accesso e l’uso della cannabis terapeutica.


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